ENDURING
Nelle immagini della serie Enduring, un progetto ancora in corso, lo sguardo dal volto si estende al corpo delle persone, al loro stare nello spazio. Uno sguardo che ancora una volta, come in Restrain, è sottratto alla dittatura degli occhi, ma è guidato piuttosto dalla nostra presenza fisica sul set. La mia posizione frontale e in piedi è speculare a quella del soggetto; il mio ruolo è quindi più attivo: le masse dei nostri due corpi si fronteggiano, e nel set (e nelle immagini) c’è una tensione trattenuta, una sorta di permanenza instabile. Durante la posa i soggetti sono tenuti costantemente in movimento: è un movimento lentissimo, un quasi-fermo, che oppone resistenza all’assunzione di una posa e ad ogni auto-rappresentazione. Qui le persone abitano un territorio, e il nero che le circonda non è semplicemente uno sfondo, ma ha una densità propria che viene agita dal nostro reciproco sentire. La fotocamera è fissata su un treppiede, e io scatto a distanza, senza guardare nel mirino. L’atto di inquadrare/mirare passa così in secondo piano; la composizione dell’inquadratura cessa allora di essere un atto aggressivo. La rinuncia all’intervento compositivo attenua il rapporto di potere esistente tra chi osserva e chi viene osservato, liberando le persone dal giudizio dello sguardo fotografico.
Enduring (2012-)
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