BARTLEBY
What my own
astonished eyes saw,
that is all I know
Installazione video (2007)
Riprese: Gabriele Grotto
Performer: Enrico Brugnaro
Negli spazi angusti di alcuni uffici dismessi dell’imponente Fabbrica Alta di Schio (VI) ho collocato la mia installazione site specific per il festival Azioni Inclementi – arti e mestieri del narrare, che aveva come tema conduttore il celebre romanzo breve di Melville. Nella tecnica narrativa di Melville mi interessava inoltre la straordinaria compresenza nella figura di Bartleby della sua incorporeità – solo un fruscio nel fluire degli eventi, un’increspatura nell’ordine naturale delle cose, un’ombra sbiadita – e la potenza ottusa della sua presenza, inerziale, inamovibile, capace proprio in quanto presenza di sovvertire radicalmente quell’ordine. L’installazione è quindi composta da videoproiezioni sui muri: nient’altro che “ombre in movimento”, tracce fantasmatiche, parvenza di realtà, eppure potentemente evocative di una presenza, cose tra le cose. |
“Bartleby remained standing at his window in one of his profoundest dead-wall reveries”.
La figura dello scrivano, in piedi e di spalle, si staglia contro un muro tra due grandi finestre, immobile in una specie di assorto stupore. Gli spettatori possono osservarlo solo dalla soglia della stanza, senza avvicinarsi, mentre di tanto in tanto la voce sommessa di Bartleby ripete meccanicamente “I would prefere not to”.
“I would prefere not to”
Un video-ritratto di Bartleby. La videocamera tenta, con un Mezzo Primo Piano e un Primo Piano, le inquadrature specifiche per il ritratto, di aggredire il segreto di Bartleby. Ma gli strumenti conoscitivi propri del cinema e del video – inquadratura, movimenti di macchina, illuminazione, messa a fuoco – si rivelano inefficaci. Bartleby non si volta mai, non si offre mai al nostro sguardo; il suo volto (specchio dell’anima?) rimane inconoscibile, così vicino e così lontano. |
“Cicero”
All’ingresso dell’installazione c’è un piccolo trucco visivo, un calembour ottico. Un dispositivo semplice e artigianale, costituito da una diapositiva e da un vecchio specchio, crea una buffa illusione ottica che mette subito in crisi la nostra presunta capacità di distinguere tra immagini reali e false, tra illusione e certezza, e che allude all’umorismo dickensiano nelle descrizioni della vita dell’ufficio. È l’immagine del busto di Cicerone che l’avvocato tiene nello studio, un ironico doppio di Bartleby: il principe della retorica imprigionato in una statua di gesso, l’eloquenza inceppata e muta come nello scrivano. L’effetto perturbante sul linguaggio che ha la presenza di Bartleby è uno dei fili conduttori di tutta l’installazione. |
“The Tombs”
Un rettangolo luminoso di circa 30×40 centimetri si staglia nel buio della parete; osserviamo Bartleby intrappolato come un insetto nero nel piccolo rettangolo bianco. Questa volta il nostro è un punto di osservazione ideale, analitico, quasi scientifico, come quello di un entomologo. Eppure il comportamento di Bartleby rimane incomprensibile. Per molti minuti lo scrivano è immobile, l’immagine sembra fissa, forse è una fotografia; ma ogni tanto Bartleby si sposta verso un altro lato del rettangolo, per poi assumere una posa identica a quella del punto di partenza. Alla fine, dolcemente, si sdraia su un fianco, forse muore. |
“Dead letters! does it not sound like dead men?”
Dopo la morte di Bartleby l’avvocato ci comunica di avere sentito delle voci secondo le quali lo scrivano, della cui vita precedente la sua comparsa nulla sappiamo, avrebbe lavorato come impiegato nell’ufficio delle lettere smarrite, a Washington. |
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